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La Luce del giorno si ritira, le tenebre avanzano.

"La più grande paura è quella dell'ignoto…la paura della morte. Tu non puoi sapere da dove arriverà, ma io, mio caro amico, so dove andrai, perché sono stato lì. Potrei portartici ora, ma non ti piacerebbe ciò che troveresti. Quindi mi limiterò ad insegnarti bene cosa aspettarti!

Come tutto ha inizio...
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Ur-Shulgi, Il Pastore [Assamita]

In alcuni frammenti del Libro di Nod, principalmente in quelli scoperti nel Medio Oriente, compaiono passaggi che fanno riferimento ai vecchi Dei – quelli adorati dai mortali che risiedevano nella Seconda Città. Alcuni di questi nomi sono familiari agli studiosi Cainiti delle notti moderne: Ashur, Kel-nach, Enkidu, Rashadii. Alcuni non hanno una correlazione diretta ad una qualsiasi altra documentazione della storia dei Fratelli: Mancheaka, Nar-Shepta, Sha’hiri e ur-Shulgi. Questo ultimo nome compare in quattro separati passaggi, e studiosi Setiti deducono dal suo contesto che sia un avatar di uno degli Dei della guerra della Seconda Città.

Il Dio della guerra Haqim.

In una valle dei monti Zagros, sul confine di quelli che oggi sono l’Iran e l’Iraq, un intrepido esploratore, con notevoli poteri di percezione sovrannaturale, potrebbe trovare una piccola caverna, recentemente aperta da una squadra di fanteria Irakena. Il camion della squadra è ancora posteggiato lì, in fatti. Il comandante della squadra ritiene che i suoi uomini siano assenti non autorizzati, e non ha compiuto nessuno sforzo in particolare per ritrovarli – il che è probabilmente meglio per lui, dato che i soldati non sono nelle condizioni per difendere la loro reputazione o qualsiasi altra cosa.

Dovesse mai l’intrepido esploratore addentrarsi nella caverna, troverebbe i corpi di quei soldati allineati sul suolo, senza alcun segno di violenza tranne che per macchie di sangue sulle loro labbra e un’espressione di…sorpresa…sulle loro facce. Le loro armi pendono ancora ai loro fianchi, eccetto per una manciata di granate che questi hanno utilizzato per aprire la caverna. Un’autopsia – se l’ipotetico esploratore avesse l’abilità e l’inclinazione di compierne una – rivelerebbe che i loro organi interni sono esplosi a causa della forte pressione dei fluidi corporali. I cadaveri sarebbero ben preservati per tale esplorazione, poiché nessuna goccia di sangue rimane al loro interno. Un ulteriore ricerca all’interno della caverna rivelerebbe cinque semplici cripte in pietra della grandezza approssimativa di una tipica camera di sicurezza di una banca. Tre sono chiuse, i loro pesanti coperti sigillati saldamente dalla forza di gravità e da forze più possenti. Una è mezza aperta, come in attesa della consegna di un qualsiasi oggetto prezioso che dovrebbe contenere. L’ultima è spalancata, infranta senza possibilità alcuna di essere riparata, presumibilmente dall’interno, a giudicare dalla mezza dozzina di schegge di pietra della grandezza di un pugno sparse sulle lastre di pietra davanti a lei.

A Petra, in Giordania, esiste un complesso di caverne molto più grande nella piana desertica. Un individuo che conoscesse il giusto passaggio potrebbe arrivare ad una grande camera non illuminata a circa mezzo miglio al di sotto della superficie della terra. Migliaia di nicchie – la maggior parte delle quali vuote – sono state scavate nelle mura di questa camera. Alcune contengono giare di terracotta sigillate con della cera e che portano parole iscritte di recente in un linguaggio che non è stato pronunciato da lingua vivente da millenni. Fosse l’osservatore in grado di tradurre questo linguaggio, le parole sulle giare non rivelerebbero altro che nomi. Uno studioso dei Figli di Haqim ne riconoscerebbe molti di questi. La compagnia è abbastanza distinta: Jamal, Talaq, Ismail. Se le giare dovessero essere aperte da qualcuno con sufficiente talento magico, si scoprirebbe che contengono il sangue del cuore di coloro i quali portano iscritte i nomi.

Dicerie confuse circolano tra i rafiq, che si svegliarono scoprendo che la Maledizione lanciata da quei demoni dei Tremere è stata infranta come un sfera di cristallo lanciata a terra, e che il loro sangue scorre ancora una volta puro e rovente nelle loro vene.

Al-Ashrad e la sua stirpe hanno avuto successo nei loro sforzi per purificare il Sangue, sussurrano, onore ai Magi. Lo Stregone e i suoi seguaci sono stati distrutti, mormorano, e con la sua morte il rituale si è spezzato. Il potere del Sangue ha lavato via tutte le impurità, sorridono dietro le loro maschere.

Mentre le storie proliferano tra i ranghi degli Assamiti, i più anziani tra i rafiq percepiscono un richiamo provenire dalle caverne al di sotto di Petra. Jamal fu il primo ad incamminarsi. L’amr, quando chiese che cosa ne era stato del Maestro, scosse solamente la testa. Lui solo tra i non viventi anziani di Alamut comprendeva la verità – poiché sebbene fosse stata la sua mano che spezzò la Maledizione, non fu la sua volontà, né la sua conoscenza, né il suo potere. Lui fu semplicemente lo strumento di un mastro artigiano, la cui abilità fece a pezzi i vincoli della Maledizione come se fossero state ragnatele davanti ad una scimitarra.

Al-Ashrad solo sapeva del fato di Jamal – non c’era più bisogno per un falso Maestro per governare la Montagna al posto di Haqim. Il vero Maestro di Alamut aveva mandato il suo araldo, ur-Shulgi, la sua seconda progenie, per annunciare il suo ritorno nel fuoco, nel sangue e nella pietra. Ur-Shulgi, che spezzò la terribile Maledizione; ur-Shulgi che squarciò a metà il disonesto Talaq solo col pensiero; ur-Shulgi, che minacciò di sterminare i flaccidi “Assamiti” fino all’ultimo se non avessero scelto di piegarsi alla chiamata del loro sire.

Immagine

Il tempo non è stato gentile con ur-Shulgi, né i richiami della Bestia nel suo io più profondo, o i numerosi nemici con cui ha combattuto. Il suo aspetto è quello per lo più di un bambino consumato dal fuoco e pieno di cicatrici, una giovane divinità segnata dal fuoco e dalla violenza. La sua pelle, diventata ormai nera come l’ossidiana per l’età, è ricoperta da cicatrici, alcune delle quali perdono sangue quando il Matusalemme diventa irrequieto. Qua e là, parti di ossa e di tendini compaiono al di sotto della sua pelle, come se il suo corpo fosse stato scorticato. Inoltre, gli occhi di ur-Shulgi sono stati o cavati via o bruciati, sebbene sostenga di essere in grado di vedere senza alcun problema. Quando si degna di coprirsi, ur-Shulgi indossa disadorni e chiari caffettani e tuniche, spesso con una collana d’osso o di ambra. La sua voce sembra provenire dalle profondità di un pozzo di un arido deserto (sorprendentemente per alcuni, ur-Shulgi è perfettamente in grado di parlare ogni lingua moderna con la quale uno gli si rivolge). Ur-Shulgi normalmente rimane immobile quando conversa con la sua progenie o altri “Fratelli”, a meno che non desideri rendere una questione retorica attraverso uno scatto di violenza felina. Se deve assolutamente cambiare posizione per far qualsiasi altra cosa all’infuori dell’uccidere, non si muove così velocemente come un guizzo da un punto all’altro.

Sire: Haqim

Natura: Tradizionalista

Carattere: Fanatico

Generazione: 4°

Data dell’Abbraccio: una traduzione da Le parabole del Sangue si riferisce all’abbraccio di ur-Shulgi come “le notti quando le pietre parlavano e i cieli piangevano una pioggia di sangue”

Età apparente: indeterminabile, sebbene il piccolo corpo di ur-Shulgi suggerisce un Abbraccio in gioventù

Moralità: Via del Sangue (nella sua antica forma) 10

Alienazioni Mentali: In una creatura inferiore si chiamerebbe megalomania

Forza di Volontà: 10

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