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La Luce del giorno si ritira, le tenebre avanzano.

"La più grande paura è quella dell'ignoto…la paura della morte. Tu non puoi sapere da dove arriverà, ma io, mio caro amico, so dove andrai, perché sono stato lì. Potrei portartici ora, ma non ti piacerebbe ciò che troveresti. Quindi mi limiterò ad insegnarti bene cosa aspettarti!

Come tutto ha inizio...
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La Storia di Eva

La Storia di Eva (e non solo)

Eva aspettava, sapeva che sarebbe arrivato ed aspettava. Erzulie, che domina le passioni, gliel’aveva predetto ed i Loa erano suoi alleati, non l’avrebbero tradita. Era una vita che attendeva, una vita ben più lunga dei suoi quindici anni e quando l’uomo bianco, il suo padrone, la raggiunse nel capanno degli schiavi, Eva non era spaventata, ma ricca di aspettative.

Era stata allevata per essere una Mambò, una sacerdotessa, in grado di comunicare con gli Spiriti ultraterreni, discendeva da una famiglia che annoverava tra i suoi antenati molti sovrani della sua gente ed altrettanti shamani. Eva era riverita dagli altri schiavi… ma soprattutto temuta, temuta pechè i Loa la ascoltavano; temuta perché, ancora adolescente, sapeva piegare ai suoi voleri forze che avrebbero schiacciato sacerdoti dieci volte più esperti di lei; temuta perché il suo destino era concepire dei figli più potenti di lei.

Aveva sei anni, Eva, quando venne chiamata nel capanno dove giacieva morente sua nonna e, in un ultimo attimo di lucidità, quella le disse:

”Servi i Loa, seguine i voleri ed il destino che hanno scelto per te! Il grande Papa Legba, signore degli Spiriti, veglierà sulla tua vita, ma sarà Erzulie, che dona e toglie l’amore che reggerà il tuo destino! Concepirai due figli da un potente uomo bianco… la femmina avrà le sembianze di suo padre, seguirà le orme di sua madre, si legherà ad un’immortale dal sangue blu che viene da oltre il mare, ma la sua fortuna sarà tessuta da Ayda Wedo, Immagine dell’Arcobaleno e Signora della Magia Rossa. Il maschio, invece, sarà come sua madre, possiederà la potenza del padre, vivrà per proteggere sua sorella anche contro il suo volere, ma il suo fato sarà tessuto dal Barone Guede, Signore dei Misteri della Morte e della Magia Nera. Ricordati! Ciò che ho detto sarà!”.

Ed Eva non l’aveva dimenticato, anzi, aveva più volte chiesto ai Loa di parlarle del suo destino e, sinchè queste rivelazioni non costituivano un pericolo al realizzarsi di tale fato, essi le rispondevano.

Eva aspettava, aspettava nei mesi successivi a quell’incontro notturno che il seme dell’uomo bianco s’accrescesse dentro di lei, non le diede fastidio sapere che anche la padrona, la moglie del suo amante, era rimasta incinta e stava per dargli un figlio, Erzulie le sussurrava all’orecchio:” Non temere… fai quel che ti dico e tutto andrà come è giusto che debbe andare… il potere dei Loa è grande”. Non ne aveva alcun dubbio, Eva, e per tutto il periodo della gravidanza fece ciò che le veniva detto di fare e non si fece aiutare da alcuna levatrice… nessuno, d’altronde, avrebbe osato toccarla senza il suo consenso.

Quando sentì ch’era il momento di dare alla luce i suoi figli, allontanò tutti gli altri schiavi dal suo capanno e rimase sola… sola con i Loa. Non provò molto dolore, Eva, si accorse che la benedizione di Erzulie l’aiutava a dormire e a sentire poco o niente, ma, tra le nebbie della magia dello Spirito dell’Amore, qualcosa apparve, ed Eva vide cose che pochi hougan potevano vantare d’aver visto:

Un vecchio, dai semplici abiti, teneva in braccio due bambini; la bimba era pallida come la luce lunare e dagli occhi luminosi come l’arcobaleno, il bimbo invece aveva la pelle scura come l’ombra e gli occhi del colore della notte; il vecchio allora, con una dolce voce, disse:” Io, che proteggo i viandanti, che mi riposo ai crocicchi, che porto i messaggi degli uomini all’Unico Dio, io benedico questi infanti e li affido a coloro che ne seguiranno i destini, che essi li proteggano, almeno sinchè loro li venereranno come è dovuto ad ogni Loa”. Detto ciò, allargò le braccia, la bambina si trovò rivolta verso la finestra e, da lì, penetrò un raggio di luce di ogni colore, per un breve istante ad Eva parve di vedere una bellissima figura femminile che cullava la piccola, poi la luce divenne troppo intensa e la giovane dovette rivolgere il suo sguardo verso l’atro bambino. Dove esso si trovava, non vi era nulla, se non la più nera oscurità, Eva tremò quando sentì stridere una voce simile a quella furiosa di migliaia di bambini mai nati, gelida e spietata; essa rammentava al neonato che il suo piccolo, oscuro cuore gli apparteneva e che presto egli lo avrebbe servito. Poi, Eva, fu sopraffatta dalla stanchezza.

Quando si svegliò, sentì all’esterno del capanno le urla disperate delle schiave, la padrona stava male, le doglie erano sopraggiunte ma probabilmente il suo debole fisico non avrebbe retto allo sforzo. Eva guardò i due piccoli che giacievano al suo fiancò, e li amò, li amò d’un amore fanatico e crudele. Si avvolse in un’ampio scialle e nascose sotto di esso la bimba dalla pelle chiara che dormiva dolcemente, poi chiamò una delle levatrici e le affidò l’altro piccolo, quella non fece domande, ma si occupò di lui come fosse un piccolo principe. La mente di Eva era ormai già rivolta altrove, invocò Erzulie, affinchè l’ammantasse di quel velo d’invisibilità che spesso concede agli amanti affinchè possano soddisfare le loro ardenti passioni, grazie ad esso giunse in un baleno nella camera della padrona, qui tutto era lutto e disperazione, sul letto, una figura femminile giaceva sfatta e da lei, Eva, riconobbe provenire l’odore della morte. In un angolo una matura levatrice di colore osservava con afflizione una culla ed ai piedi del letto, sconvolto, sedeva il padrone… il loro sguardo si incontrò e lui disse: ”Tra la tua gente sei cosiderata una maga potente, aiuta mia figlia, anche se ormai non puoi più fare nulla per sua madre!”. Eva lo osservò per un lungo istante, si avviò verso la culla e vi guardò dentro. La piccola, rachitica creatura che lì giacieva, non avrebbe impiegato molto ad esalare l’ultimo respiro, Eva invocò ancorà il mantello di Erzulie e, grazie ad esso, compì l’orrendo scambio. Per un istante, i suoi occhi incontrarono lo sguardo della nutrice, non era una Mambò, ma la sua professione le imponeva di riconoscere l’opera dello Spirito dell’Amore quando era in azione. Eva mosse le labbra, ma senza proferire parola, la schiava tremò e seppe che solo sotto tortura avrebbe rivelato ciò che aveva visto. Poi Eva si voltò verso il suo amante e, per la prima volta, gli parlò: ”Mio signore, ho salvato tua figlia con l’aiuto dei miei dei, solo una cosa ti chiedo in cambio, di poterla allevare personalmente in questa casa insieme al figlio che io stessa ti ho dato alla luce questa notte, me lo devi e non credo che oserai rifiutarmi questo favore!”. L’uomo bianco osservò incredulo Eva, si diresse alla culla, e vi trovò la più bella bambina che avesse mai visto… l’amò, come fosse la creatura più importante di questa terra ed amò la schiava che l’aveva salvata e che da sempre, lui lo sapeva con certezza, aveva amato con passione infinita. Mentre l’uomo abbracciava Eva, ella osservava il freddo cadavere della sua defunta rivale e pensò: quando Erzulie, Ayda e Guede lavorano insieme, nulla è impossibile.

Ciò che Eva non sapeva, è che gli Spiriti avevano in servo amare sorprese anche per lei.

La Storia di Cesàr (e non solo)

Eva regnò incontrastata sul cuore del suo padrone, sulla sua casa, sulla sua gente. Come una regina che trae i sui diritti per avere dato un erede al proprio re, Eva riceveva gli omaggi dovuti a colei che ne aveva salvato la figlia morente e che gli aveva dato l’unico, seppur schiavo e di colore, figlio maschio. L’odio che i parenti del marito, soprattutto i cugini Lavalle, avevano per lei era enorme, in fondo avrebbero probabilmente ereditato tutta la tenuta, se il generale Charles Louis Batiste fosse morto senza eredi. Ma ancor più detestavano che una schiava qualunque s’atteggiasse a signora delle più ricche piantagini di cotone della zona di Baton Rouge. Eva rideva della loro stupidità, che sibilasserò pure come serpenti, lei sapeva come incantare e terrorizzare le serpi.

Eva allevava con amore entrambe le sue creature, il suo controllo era assoluto, le sue premure quasi maniacali ed al limite dello sfacciatoggine. Nulla doveva essere negato alla sua piccola ereditiera, mentre suo fratello sarebbe stato cresciuto per proteggerla e per aiutare e comandare la sua gente. Ma Eva aveva fatto i conti senza l’oste.

Una notte, dopo aver messo a dormire la figlia, ella si accingeva ad occuparsi del maschietto, quando una presenza a lungo dimenticata le parlò:

”E’ il momento prediletta dei Loa” disse con scherno una stridula e gelida voce, “tuo figlio ha ormai compiuto il suo sesto anno, e come tu, alla stessa età, venisti risvegliata ai tuoi doveri verso i Loa, così per tuo figlio ora è giunto il momento di incontrare quale sarà il suo destino al mio servizio! ahahahahahahah!!!!”

Eva rabbrividì come se un gelido artiglio le stesse torcendo le viscere; tentò di parlare, ma neppure un filo di voce le uscì dalla gola; cercò di fuggire col suo adorato figliolo, ma riusci solo a muoversi verso l’ingresso e, qui, trovò una carrozza già pronta per una lunga corsa. Non seppe per quanto tempo viaggiarono, le sembrarono giorni interi, in realtà però non dovette essere molto, poiché quando si fermarono era ancora notte. Eva non conosceva la zona, ma vi riconobbe il dolciastro odore della morte, rabbrividì vedendo il cadente cancello del camposanto ed il suo vecchio ed orripilante custode.

Il terror panico la prese quando capì che questa sarebbe stata la dimora dell’adorata creatura che ora dormiva placidamente tra le sue braccia. Tentò, provò con tutte le sue forze di ribellarsi, sinchè non sentì un dolore lancinante, simile ad una lama che laceri le carni, ma mille volte più intenso:

” Pazza!” disse ancora la voce “non ti ribellasti quando portai via la moglie del tuo padrone, né quando strappai la vita della misera creatura che quella disgraziata aveva messo al mondo! Ti era comodo allora, non è vero? Tu hai un debito con mè! E tuo figlio mi appartiene sin da prima che lo mettessi al mondo!”.

A quel punto, Eva si accorse d’un flebile movimento tra le sue vesti, il piccolo si era risvegliato e, gurdandola, disse: ”Maman, non aver paura! Io non ne ho! Tu mi hai detto che devo crescere forte per proteggere mia sorella e regnare sulla mia gente e io lo farò! Solo una cosa maman! Ricordati un giorno di venirmi a prendere, quando sarò forte!”. Gli occhi di Eva erano colmi di lacrime e con la disperazione d’una madre a cui viene strappato un figlio, invocò i Loa e gli diede questa benedizione:” Vai figlio mio! Che la tua mente non rammenti il tuo passato! Che il ricordo di ciò che hai vissuto non ti sommerga e non ti faccia soffrire più di quanto già dovrai! Che solo il volto della tua amata sorella in qualunque momento tu lo riveda e qualunque aspetto tu o lei possiate avere, risvegli i tuoi ed i suoi ricordi! Saprete chi siete e cosa rappresentate l’un per l’altro! Che Erzulie vegli su di te, anche se temo che in questo posto il suo potere non abbia influenza”.

Detto ciò, aprì lo sportello della carrozza e lasciò scendere il bambino che, come guidato da una qualche forza sconosciuta, oltrepassò la soglia del cimitero al fianco del terribile becchino, il cancello si chiuse alle sue spalle e la carrozza ripartì.

I giorni successivi passarono come se nulla fosse! Nessuno, proprio nessuno, sembrava rammentare il vivace fanciullo di colore, figlio del padrone e della sua strega nera. Eva non credette mai per davvero che tutto ciò fosse solo il frutto del suo incantesimo, ciò nonostante, tutto questo, l’aiutò a celare il dolore che le avrebbe tormentato l’anima per gli anni a venire.

La Storia di Jeanne (e non solo)

Camminava per le vie di Baton Rouge, come una principessa tra i saloni della sua corte. Eva la osservava, tenendosi alcuni passi dietro di lei, come si confaceva ad una schiava di compagnia, ma conosceva a memoria le movenze e gli atteggiamenti che la ragazza amava assumere. Ecco, ora faceva ruotare l’ombrellino parasole muovendolo tra le mani, sapeva perfettamente che non era un gesto da signora ben educata, ma altrettanto bene sapeva che era un semplice trucchetto innocente per attrarre l’attenzione delle persone. Eccola allungare il passo, così da far ondeggiare i pizzi dell’abito di seta azzurra che indossava. Eccola ancora torcersi leggermente verso la strada, per salutare una quasi perfetta sconosciuta che si trovava sull’altro lato, tendendosi in punta di piedi ed allungando il braccio sinistro in modo da mettere in evidenza le linee morbide e già mature del suo corpo. Eccola portare con precisa noncuranza una mano ai capelli, fingendo di sistemarsi uno scuro ricciolo ribelle, ma con la reale intenzione di mettere in mostra la sua eleganza anche nei gesti più semplici. Eccola, infine, curvare dolcemente le labbra morbide e carnose in un sorriso, per rispondere al saluto d’un giovane gentiluomo, inclinando civettuolamente il capo in modo che la luce del sole, riflessa nei suoi occhi, li potesse far risplendere di quelle mille tonalità che, incredibilmente, sembravano essere state imprigionate al loro interno. Suo padre la chiamava sguardo d’arcobaleno, Eva sapeva bene che tale sguardo era il marchio con cui i Loa avevano segnato sua figlia.

Jeanne Marie Batiste aveva tutto ciò che una giovane ragazza potesse desiderare, Eva ne era convinta: vestiti, gioielli, ombrellini, profumi ed uno stuolo di giovani innamorati. Certo, la ragazza era la più ricca ereditiera della regione, ma anche con un ben meno appetibile incentivo, ella serebbe riuscita ad attrarre le attenzioni, non sempre discrete ed innocenti, di qualunque uomo tra i quattordici ed i sessant’anni. Ma Jeanne possedeva molto di più che un aspetto decisamente avvenente, suo padre, nella sua adorazione, aveva voluto che studiasse con l’aiuto d’un precettore privato, il quale s’era presto stupito dell’incredibile acume e desiderio d’apprendimento della sua allieva. Non era previsto che una giovane ereditiera sapesse recitare i classici o scrivere poesie, tutt’al più era prevedibile che sapesse suonare uno strumento. Ma Jeanne non era una semplice, ricca, viziata ragazza del sud della Louisiana, Jeanne era figlia di Eva e, come sua madre, era una Mambò prima ancora che nascesse e, quando i suoi occhi rilucevano d’un verde scuro, si era certi che la sua mente stesse riflettendo intensamente su qualcosa per lei di grande importanza.

Eva osservava la figlia in ogni momento, la seguiva e le aveva trasmesso tutte le sue conoscienze. Non sapeva come, ma la ragazza era venuta a sapere che lei era la sua vera madre. La ormai vecchia balia che aveva assistito al suo scambio con la figlia morente del generale Batiste, non avrebbe mai osato aprire bocca; ma, ormai da tempo, Eva sospettava che sua figlia avesse trovato il modo di contattare i Loa ed era plausibile che loro le avessero svelato questa verità e chissà quante altre.

Eva era una grande strega ma Jeanne, se avesse potuto agire liberamente, avrebbe potuto sicuramente superarla; vi erano perfino delle volte in cui ella le incuteva timore. Un tempo, Eva, non aveva avuto paura di rimproverarla o di assestarle uno schiaffo, ora invece non s’azzardava più a farlo con leggerezza. Gli occhi di Jeanne, quand’era furiosa, assumevano il colore del cielo in tempesta e sapevano incutere rispetto e timore senza dover proferir parola. Gli schiavi di casa la temevano ancor più di quanto temessero Eva e, pur non sapendo nulla della sua origine, molti di loro la chiamavano la strega bianca.

Per lo più, comunque, la ragazza passava le sue giornate allegramente come qualunque altra giovane della buona società ed il suo sguardo era quindi più spesso azzurro che di ogni altro colore.

Ad ogni modo, nonostante alcune divergenze, Eva andava d’accordo con sua figlia e questa l’amava, anche se non sempre pareva volerglielo dimostrare; su una cosa comunque entrambe la pensavano allo stesso modo, i cugini di suo padre, i Lavalle di New Orleans, erano spregevoli ed invidiosi. In particolar modo Philippe Lavalle, il giovane rampollo di questo ramo della famiglia e di pochi anni più vecchio di Jeanne, il quale s’era invaghito della lontana cugina e sperava di sposarla per poter così mettere le mani sia sulla sua ricchezza che sul suo corpo. Eva lo detestava e ancor più lo detestava sua figlia, mentre il vecchio generale Batiste cercava di mantenere, per quanto possibile, buoni rapporti coi parenti… questo almeno sinchè, durante un ricevimento nella loro tenuta, il poco di buono non osò allungare le mani su Jeanne.

Lo stolto scappò terrorizzato dalla piantagione, non tanto per la ben motivata furia del padrone di casa, alla cui figlia aveva mancato di rispetto, ma, a quanto pare, per l’orrenda reazione della ragazza stessa. Eva, interrogando alcuni schiavi, venne a sapere che il giovane Lavalle era fuggito gridando che Jeanne era una fattucchiera, che l`aveva stregato con una maledizione orrenda e che i suoi occhi, nel momento in cui l’aveva fatto, avevano brillato d’una malefica luce gialla. Che fosse tutto frutto solo della sua mente malata, come sosteneva l’infuriato generale, Eva non ne era del tutto certa e, certe voci secondo cui il focoso giovinastro avesse perso l’utilizzo dei “gioielli di famiglia”, non la lasciarono del tutto sorpresa.

Tutto continuò immutato e perfetto sino a dopo il diciassettesimo compleanno di Jeanne, quando l’ormai non più giovane generale Batiste s’ammalò di polmonite. Eva fece del suo meglio per salvarlo, se non altro per l’amore che sua figlia aveva per lui; ma fu tutto inutile. Apparve presto indispensabile che Jeanne si sposasse, per poter effettivamente ereditare la fortuna di cui era entrata in possesso e le più prestigiose famiglie dei dintorni attendevano solo la fine del periodo di lutto per poter avanzare le loro proposte di matrimonio alla bella ereditiera. Anche i Lavalle ebbero il coraggio di presentarsi ma Jeanne, in un eccesso d’ira, scacciò tutti gli avidi parenti, Philippe in testa, in malo modo dalla tenuta. Eva, per la prima volta, parve incerta. Ora lei e la figlia erano rimaste da sole, quale marito avrebbe accettato che sua moglie fosse una Mambò? Sarebbe riuscita Jeanne a soggiogarlo come lei aveva fatto col defunto generale? I Loa non le risposero… furono gli eventi a farlo.

Era una notte di pioggia fitta, tanto fitta da non poter vedere ad un palmo dal naso. Eva aveva fatto sogni inquieti e quando si svegliò, pensò che le urla che sentiva non fossero altro che riveberi dei suoi incubi… non era così. I suoi sensi fremettero e si accorse che qualcosa di grave stava accadendo, uscì di corsa dalla stanza e si lanciò nel salone d’ingresso a piano terra. Qui, sulla soglia, vi era uno stuolo di uomini armati a capo dei quali c’era Philippe Lavalle, il cui volto era deformato da un orrendo sogghigno. Jeanne era in cima alle scale e, quando parlò, la sua voce parve venire da una tomba:

“ So perché sei qui Philippe Lavalle! Se hai coraggio vieni a prendermi! ”, per un istante il vile parve perdere la sua baldanza, ma poi rispose: “Figlia d’una negra! L’ho sempre saputo che c’era qualcosa di storto in te! E difatti non sei altro che la figlia d’una strega nera che ha plagiato con le sue diavolerie la mente di quel povero mentecatto del generale!“. Ad Eva parve che il mondo cominciasse a girare vorticosamente, ma come? Per i Loa, come poteva saperlo? Poi, spostandosi dalla sua posizione ed avanzando verso lo scalone, la donna scorse una misera figura rattrappita; era la vecchia nutrice! L’unica a conoscere il segreto di sua figlia, a cui erano state inflitte le torture più crudeli e le sevizie più orrende, sotto le quali, evidentemente, aveva svelato tutto al suo agguzzino. “Osi negare forse?” riprese Lavalle “Beh! Vedrò di far cantare anche quell’altra puttana, così forse ammetterai di tua spontanea volontà! ahahaha!!”. Eva cercò di pensare a qualcosa, ma l’unico pensiero che riuscì a formulare fu una preghiera a Papa Legba; in quel momento Jeanne rispose, e per Eva il mondo crollò: “Non ti darò la soddisfazione di fare del male ad altra gente! Sì! E’ vero! Sono figlia d’una schiava e non me ne vergogno perchè saprò sempre d’essere migliore di te!”. Ciò che accadde dopo rimase confuso nella mente di Eva, ricordò solo d’aver gridato e di essersi gettata verso Lavalle che stava per salire le scale verso Jeanne, poi un dolore fortissimo alla nuca la privò dei sensi.

Quando si svegliò, la luce del giorno filtrava attraverso la porta del capanno in cui era stata rinchiusa, bussò, urlò, pianse… ma nessuno venne a dirle che ne era stato della sua povera, piccola Jeanne. Possibile che i Loa l’avessero abbandonata? S’erano forse presi gioco di lei, dopo il suo adorato Cesàr, ora le avevano tolto anche la sua Jeanne? Li maledisse, e maledisse tutti quelli che conosceva e che avevano fatto loro del male, Philippe Lavalle in testa! Quando la porta si aprì, Eva vide solo la figura d’uno schiavo, Maurice il cocchiere, entrare portando quello che sembrava un fagotto… era Jeanne! Non fu difficile immaginarsi ciò che l’era toccato sopportare, ma quello che più preoccupò Eva, era la forte febbre che sembrava scuoterla, “Polmonite!” disse tra sé, terrorizzata, la schiava, “No! Non lei! Loa non potete permettere che accada!”; Ma non furono gli Spiriti a risponderle, bensì sua figlia: “Mamie…madre… non temere, questa è la mia prova. Così come mio fratello, anch’io devo dimostrare d’essere degna del potere che mi verrà concesso!”…sapeva, dunque sapeva anche di suo fratello, Eva guardò la giovane negli occhi e… pregò.

Era notte ormai, quando Eva si ridestò; ancora una volta la stanchezza l’aveva sopraffatta. Quando si accorse che Jeanne non era più accanto a lei si spaventò temendo che il crudele Lavalle l’avesse fatta condurre da sé per infliggerle chissà quali altri orrori, poi un rumore svelò ad Eva che sua figlia era in piedi e sembrava aspettare qualcosa “Tra poco ce ne andremo” le disse la giovane con voce calma “tieniti pronta!”… andare? Andare dove? Si chiese la donna di colore ma, proprio in quel momento la porta del capanno si aprì e Maurice, lo schiavo, entrò di soppiatto al suo interno. “Sono tutti profondamente addormentati, Mademoiselle! Ho fatto mischiare al cuoco la polvere che mi ha dato insieme alla minestra, ho preparato i cavalli e recuperato ciò che m’avete chiesto…ma facciamo in fretta, più strada metteremo tra loro e noi e meglio sarà!”. Eva non capiva, ma seguì i due, badando di non fare rumore. Era giunto ormai il momento che fosse la madre a seguire gli ordini della figlia e non più il contrario. Cavalcarono per ore ed Eva si accorse che si stavano inoltrando nelle terre paludose a sud di Baton Rouge, cominciò dunque a capire! Sapeva perfettamente che, nascosta tra le paludi, c’era una piccola comunità di schiavi fuggiaschi, che viveva d’espedienti e professava liberamente il culto dei Loa. Maurice aveva un amico che vi si era rifugiato e lì le condusse… finalmente al sicuro.

Eva seppe poi dalla figlia che il misterioso scrigno che lo schiavo aveva recuperato dallo studio del generale prima della fuga, conteneva dei buoni del tesoro della Banca d’Inghilterra. Il previdente generale Batiste, aveva pensato che fosse sì giusto esprimere il proprio pattriottismo investendo le sue ricchezze in Louisiana, ma che mettere dal sicuro una buona rendita per la sua adorata bambina nelle casse di sua Maestà Britannica era decisamente più saggio, anche se sleale verso la nazione americana.

Eva si trovò a vivere una nuova, ma non del tutto spiacevole vita ed i Loa, in alcuni casi, ripresero a parlarle. Ad ogni modo ella aveva finito di giocare il ruolo della protagonista, era sua figlia, ora, che avrebbe dovuto gestire il loro futuro.

Il Revenant (e non solo)

Passarono due lunghi anni tra le paludi, insieme alla comunità di schiavi fuggiaschi. Eva vide sua figlia maturare e, dapprima, acquisire il rispetto degli altri membri della comunità, dopo, diventarne il capo carismatico. In questo luogo fuori dal tempo Jeanne potè sviluppare appieno il proprio potere e la sua connessione coi Loa divenne così stabile, quanto non lo era mai stata per Eva neanche nel suo periodo di maggior potere. Le voci sulla strega bianca, presero a girare tra tutti i negri della regione delle paludi ed anche ad alcuni bianchi giunse il racconto della donna dalla pelle candida che sapeva padroneggiare la magia degli schiavi, ma per lo più lo ritenevano una mistificazione di questi ultimi.

Poi, poco dopo il diciannovesimo compleanno di sua figlia, avvenne ciò che il destino aveva previsto: Jeanne ascese ad un nuovo stato d’esistenza, divenne una revenant, un’immortale!

Una notte, Eva, venne svegliata da Maurice che la condusse ad una piccola imbarcazione. Qui, Jeanne l’aspettava insieme ad un altro uomo di colore assai fidato. La giovane donna le disse che si sarebbero diretti all’Isola del Diavolo, ma che solo lei ed Eva vi sarebbero sbarcate. Sull’Isola del Diavolo, nome che le avevano attribuito gli uomini della comunità, sorgeva una vecchia dimora estiva d’una estinta famiglia del tempo della colonizzazione francese; secondo la gente delle paludi a volte, di notte, gli Spiriti dei Morti prendevano possesso del luogo e Papa Le Bas, il Diavolo, vi eseguiva i suoi rituali. Eva non aveva mai davvero creduto a tali ciancie, ma fu preoccupata per questa improvvisa visita notturna; mentre la barca scivolava lentamente sull’acqua piatta, Eva osservò la luna piena la cui fredda luce le fece correre un brivido lungo la schiena.

Quando giunsero sul posto, le due donne avanzarono da sole verso i resti silenziosi della magione. Le piante selvatiche e gli animali del posto parevano aver ripreso possesso di quel luogo, ma, inconsciamente, Eva percepì che anche qualcos’altro stava in agguato tra le ombre. La giovane donna, invece, pareva perfettamente a suo agio e si diresse con sicurezza all’interno dell’edificio, salì l’ampio scalone incredibilmente sgombro dalle macerie e, giunta al primo piano, si diresse senza esitazioni verso il vano d’una porta che giaceva a terra ormai marcita dall’umidità e divorata dai tarli. La sala, decisamente grande, doveva essere stata un’ampia bibblioteca, nel suo mezzo v’erano in effetti accumulati i resti d’una grande quantità di libri, mentre gli scaffali, su cui una volta essi dovevano essere stati riposti, non avevano fatto una fine migliore della porta d’ingresso; nell’aria aleggiava un forte odore di muffa.

Per un istante, Eva, vide Jeanne immobile, come presa da un dubbio, ma subito dopo avanzò al suo interno con passo deciso. La donna di colore la seguì e nello stesso istante in cui attraverò la soglia si rese conto che non erano sole, qualcun altro già si trovava in quel posto.

La figura comparve come se si fosse materializzata dall’oscurità che ammantava la parete opposta a quella da cui erano entrate. I sensi di Eva l’avvertirono che ciò che aveva di fronte non era umano…o almeno non proprio. Conosceva la leggenda dei Revenant, gli Immortali, ma non ne aveva mai incontrato uno prima d’allora, ne aveva mai fatto conto che accadesse.

“Guarda, guarda!” disse l’individuo, ancora sufficientemente nascosto dalle ombre, con una profonda voce maschile “Non ho trovato ciò che cercavo, ma in compenso penso che avrò comunque di che soddisfarmi stà notte!”.

Eva rabbrividì, in quella voce c’era una nota stridente che la metteva in allarme, possibile che sua figlia non si fosse accorta che erano in grave pericolo?

“So cosa stavi cercando!” esordì con tranquillità Jeanne “Ebbene, l’hai trovato!”. La figura rimase in silenzio, forse un po’ stupita, pensò Eva, poi avanzò verso il centro della sala e così fece anche Jeanne. Ora, a dividerli, vi era solo la luce lunare che, attraverso il vano vuoto d’una finestra senza infissi, si stendeva sul pavimento creando una scia luminosa che fendeva l’oscurità. I due erano l’uno di fronte all’altra, si fissarono per un istante che parve un’eternità, poi l’individuo disse: ”Ne dubito…gli abitanti di questa casa praticavano l’antica magia importata dagli schiavi negri d’Africa! Speravo che i padroni di casa avessero lasciato alcune note tra i resti della loro collezione di libri che mi permettessero di scoprirne i misteri che ancora non conosco… invece non ho trovato nulla…tranne te!” la creatura della notte sembrava ignorare totalmente Eva e tutta la sua attenzione era su Jeanne, che disse: ”Pretendi di scoprire i segreti ed i poteri dei Loa tra la polvere e la muffa depositata su questi fogli di carta ormai lisi? E’ assolutamente inutile. I Loa concedono i loro poteri non tramite le parole scritte, ma grazie alla loro voce diretta, che sussurano solo ai loro protetti!”, silenzio, “E tu vorresti farmi credere d’essere una prescelta, non è vero? E con questo sciocco trucco speri d’aver salva la vita…ahahahah! Nemmeno se tu fossi la strega bianca di cui tanto parlano i negri delle paludi avresti la possibilità di salvarti da me!” detto ciò, la figura avanzò verso Jeanne, che però l’aveva preceduto entrando per prima nel fascio di luce lunare, il mantello con cui la figlia di Eva s’era protetta dall’umidità notturna, le cadde dalle spalle e sotto di esso Jeanne portava solo un leggero vestito di lino. Eva non chiese mai a sua figlia se avesse invocato l’aiuto dei Loa, di Erzulie addirittura, in quel momento; seppe solo che la sua figura, sfolgorante, splendida ed accarezzata dalla luna, dovette sembrare allo sconosciuto quella d’una creatura ultraterrena. Egli si fermò di botto sul limitare della zona rischiarata dall’astro notturno e, prima che potesse dire qualunque cosa, Jeanne lo precedette: ”Guardami! Guardami bene!” disse “In me vedi tutto ciò che hai bisogno di vedere, in me hai trovato tutto ciò che desideravi trovare! Non siamo qui per caso! Donami lo spirito immortale dei Revenant, perché questo è il destino che i Loa hanno scritto per me! E io ti regalerò tutto ciò che conosco e tutta la saggezza degli Spiriti… sei in grado di vedere, apri gli occhi allora, e portami con te!”. Per un istante Eva non capì cosa stesse accadendo. La figura avanzò completamete nella luce e raggiunse Jeanne nel mezzo. Era un uomo bianco, di circa trent’anni, il suo sguardo osservava la giovane donna, ma sembrava vedere altro… potere…mistero…bellezza…e chissà cosa ancora. “Il mio nome è Leclerc” disse, con voce rapita, allargando le braccia “concediti al mio abbraccio, donami la tua conoscenza e vivi per l’eternità!”. Il coraggio di Eva le venne meno, distolse lo sguardo da quello spettrale amplesso e lasciò la casa.

Jeanne era morta, Jeanne ora era una Revenant. Nei giorni che seguirono tutta la comunità venne a sapere che la strega bianca era diventata la vera incarnazione del potere dei Loa, non solo un mero Cheval, ma un’Immortale vero e proprio, un messaggero dell’Unico Dio. L’adorarono più di prima!

Jeanne, presto disse a sua madre che doveva recarsi con il suo Sire, questo era il termine con cui si rivolgeva a Leclerc, a New Orleans. Qui vi era un piccolo gruppo di Revenant come loro che studiava la Wanga, un tipo di magia che annoverava le pratiche shamaniche ben conosciute da entrambe. Leclerc sosteneva che la trasformazione a cui Jeanne era stata sottoposta, l’aveva privata dei suoi precedenti poteri, ma che ben presto ne avrebbe ottenuti degli altri. Vi erano poi altre questioni da sistemare, il modo in cui era stata convertita, ad esempio, non era il più canonico per il suo Clan, così disse Leclerc, ma tutto si sarebbe sistemato se si fossero sbrigati a presentare la giovane immortale agli altri mebri del gruppo; d’altronde le conoscenze da lei portate in dote erano un salvacondotto più che sufficiente per la sua sicurezza.

Partì, e per molto tempo Eva non la rivide. Sola, privata dei suoi figli, la schiava ritrovò il conforto delle visite dei Loa; Erzulie tornò a parlarle, così come un tempo e la rassicurò che presto si sarebbero riunite.

Il Riabbraccio (e non solo)

Era una nebbiosa notte di qualche anno dopo, Maurice venne a chiamarla con urgenza:”Mambò! Mambò! Presto vieni, corri!”. La premura nella sua voce le fece temere che qualche negriero avesse scoperto il loro rifugio. Eva corse fuori dalla capanna e l’uomo la condusse sino al piccolo molo per le barche.

Qui, due figure attendevano, una pareva la sagoma d’una donna, l’altra aveva delle dimensioni colossali. “Mamie!”, disse la prima “Madre mia! Sono tornata! Sono Jeanne!” Era lei, era la sua Jeanne, bella, elegantissima con un abito all’ultima moda e… giovane, giovane come quando l’aveva lasciata. L’altra figura, invece, rimase in disparte e quando Jeanne le fece cenno d’avanzare, questa esitò. Eva fremette, chiunque esso fosse, da lui proveniva un odore nauseabondo, odore di morte. Eva fece per ritrarsi ma, per un istante, le parve che quell’odore le fosse stranamente familiare, dove? Dove poteva averlo già sentito… poi, un lampo, la porto indierto di molti anni, a quell’orrendo cimitero dove aveva dovuto lasciare il suo adorato Cesàr “E’ lo stesso odore!”. Eva pronunciò quelle parole senza accorgersi, ma colui che le stava di fronte le percepì anche se erano state dette in un soffio. “Maman! Sì sono io! Sono tornato! Lei m’ha trovato e di colpo l’ho riconosciuta! Sono forte adesso, madre mia, forte abbastanza perché la morte non mi spaventi, anzi… mi sia alleata!”. Eva fece per corrergli incontro, ma Jeanne la trattenne, “Potresti non riconoscerlo” disse con voce dolce e triste “anche lui è un Revenant adesso! Ma il suo aspetto è stato sconvolto al momento dell’abbraccio”. Eva spostò lo sguardo da un figlio all’altra più d’una volta “Non mi importa!” disse infine “Sia quel che sia! E’ mio figlio, l’ho abbandonato una volta e non lo farò mai più!”. Eva corse tra le braccia del suo mai dimenticato figlio, né l’odore nauseante né l’aspetto orrendo la infastidirono, i suoi occhi, solo quelli cercava la donna nell’oscurità… li trovò… erano gli stessi d’un tempo! “Non ti ripugno, maman?” disse il gigante, “No” rispose con semplicità la donna.

L’Inglese (e non solo)

Eva la osservava muoversi tra la gente come una predatrice che spii le sue prede. L’abito di velluto cremisi era ricco, ma non volgare. Si era acconciata i capelli con cura per questa occasione ed intorno al suo collo brillava una collana di magnifiche perle. Portava una mascherina sugli occhi, dello stesso tessuto e colore dell’abito; non era una stranezza, tutte le donne che si aggiravano per i saloni di Madame Lorette la portavano. Alcune erano ragazze della casa, altre le accompagnatrici di quegli avventori più interessati al gioco d’azzardo che ad appagare i propri bassi istinti. Jeanne, invece, portava la maschera perché si trovava a New Orleans e riteneva assai probabile incontrare in quel posto qualcuno della famiglia Lavalle che la potesse riconoscere. In verità era ciò che lei sperava …. il desiderio di vendetta d’un immortale è cosa terribile da placare.

Sembrava scivolare tra la gente come se non toccasse terra, quando un mezzo ubriaco tentò d’afferrarla, ella si divincolò con facilità, provocandone la caduta ed il conseguente scoppio di risa da parte degli avventori vicini.

Poi si fermò… Eva la osservava da distante, ma si accorse che qualcosa aveva attratto la sua attenzione. Per non perderla di vista la donna di colore scivolò lungo le pareti della sala sino a trovarsi dall’altro capo di questa. Qui, c’era un tavolo circondato da un piccolo drappello di persone ed a quel tavolo erano seduti solo due uomini. Era evidente che il primo fosse il tipico ricco proprietario terriero del sud, si riconosceva dal modo di vestire, dai baffetti neri, lucidi e ben curati, dall’accento e…. dalla quantità di soldi che aveva vinto al suo avversario. Quest’ultimo indossava invece dei vestiti ben curati di foggia europea, forse era un mercante od un diplomatico o forse… un brivido corse lungo la schiena di Eva, un brivido che la donna aveva imparato a riconoscere, cercò Jeanne con lo sguardo e si accorse che anche lei lo fissava, lo fissava con il suo sguardo verde, intento a percepire anche un lievissimo segno.

Sua figlia le aveva detto di non essere in grado di scoprire un Revenant a prima vista, come invece sembravano essere capaci di fare altri immortali, non aveva ancora sviluppato tale potere anche se, asseriva, era nelle sue potenzialità. Ciò nonostante le aveva anche detto che, se osservava con debita attenzione, era in grado di riconoscere uno dei suoi simili, magari troppo intento nei propri affari e sicuro della propria masquerade, da non temere d’essere sottoposto a sguardi indagatori. Cosa avrebbe fatto Jeanne? L’avrebbe ignorato, come era abituata a fare, oppure… come in risposta alla sua silenziosa domanda la giovane immortale si avvicinò al tavolo.

“Ahahahah!!! Sembra proprio che vi abbia ridotto in braghe di tela amico! Forse troverete comunque qualcuno che vi dia un passaggio sulla sua nave per riportarvi in Inghilterra! Ahahaha!!” il riso sguaiato del sudista aveva un che di volgare e fastidioso. “Non si può mai dire, carissimo! La fortuna potrebbe ancora girare dalla mia e non sarebbe la prima volta” disse l’avversario in difficoltà, sfoderando un accento tipicamente inglese. “Ahahahah!!! E cosa vorreste giocarvi ancora dunque? Non vi ho lasciato più nulla con cui puntare! Rinunciate è meglio! Ahahaha!!!”

Lo sguardo dell’Inglese sembrò trapassare il sudista, evidentemente, pensò Eva, non era abituato a perdere, ma d’altronde l’altro aveva ragione, per giocare bisognava puntare e per puntare era necessario avere dei soldi, l’Inglese avrebbe dovuto mettersi l’animo in pace e riconoscersi battuto…

“Prendete!” Eva riconobbe la voce di Jeanne “non sono molti ma sufficienti, credo, per un’ultima mano”. Senza che Eva se ne fosse accorta, si era posta alla destra dell’Inglese, tutti si voltarono verso di lei ed anche l’interessato la guardò con sorpresa. Questi ruotò in parte la sedia su cui era seduto per osservare meglio la nuova arrivata ed Eva dovette ammettere che, per essere un uomo bianco, era decisamente di bel aspetto. L’uomo si alzò, portò la mano al cappello e disse: ”Milady, sarei davvero tentato d’accettare! Ma non posso rischiare di perdere i vostri averi, questa sera sembra che la Dea Bendata mi abbia proprio abbandonato e…” Jeanne lo interruppe “E credo fareste bene a trovare una sostituta in fretta, Monsieur! Prendete questa piccola somma e permettetemi di essere la vostra buona stella, almeno per i prossimi minuti”.

L’aveva riconosciuta? Sapeva che anche lei era un’immortale? Eva vide l’Inglese fissare attentamente Jeanne, il suo volto era impenetrabile ma subito si accorse che su di esso si stava aprendo un sorriso sfrontato. “Beh! Carissimo!” disse rivolgendosi al suo avversario ma non staccando gli occhi da Jeanne “A quanto pare ho ancora un’occasione per battervi!” , “Fate come credete” ribattè l’altro “tanto le cose non cambieranno! Ahahah! Ad ogni modo per rendere tutto più interesante, ci giocheremo tutto il gruzzolo in una singola mano!” così dicendo riversò tutti quattrini vinti fino a quel momento sul tavolo “Ci stò!” disse l’Inglese, poi rivolgendosi alla sua nuova ed inaspettata benefattrice aggiunse “Vi prego Milady! Restatemi affianco! Se dovete essere la mia nuova dea della Fortuna, sarà meglio che non vi allontaniate” Così dicendo si sedette di nuovo al tavolo, mentre Jeanne gli si mise al fianco. Le carte vennero mischiate e distribuite, l’uomo del Sud parve soddisfatto delle sue, l’Inglese, invece, chiedette di cambiarne una. La tensione era palpabile ed ormai la sfida aveva attratto intorno al tavolo una grande quantità di persone, tutti fissavano come stregati i due giocatori e le carte sul tavolo, nessuno si accorse del movimento repentino di Jeanne. Eva la vide portarsi la mano destra ai capelli come per risistemarvi una ciocca ribelle, in realtà afferrò uno dei puntali che trattenevano l’acconciatura, non era uno spillone comune però, in realtà era quello preferito da Jeanne per officiare i riti magici della Wanga. Vide poi sua figlia abbassare con rapidità la mano, sapeva cosa stava per fare ed osservò con attenzione mentre una singola goccia color rubino iniziò a colare lungo il palmo della mano sinistra, cadde, ma prima che potesse toccare terra svanì, quella era la giusta offerta da fare ai Loa affinchè favorissero il potere che lei aveva evocato.

“Aspettate, Monsieur!” disse Jeanne proprio nell’istante in cui l’Inglese stava per afferrare la sua ultima carta “se devo donarvi fortuna, forse lascerete a me il piacere di raccoglierla!”. L’Inglese la osservò, le sorrise e disse “Ma certo, Milady! Come potrei negarvelo, mi affido a voi!” detto ciò si scostò, Jeanne si protese verso la carta ancora girata sul tavolo, l’afferrò con la sua sinistra e la porse allo straniero. Tutti trattennero il respiro, poi il sudista sbottò: “Ahahaha!!! Foul di Jack! Spiacente Inglese, ma ho vinto di nuovo” , “Fermò!” intimò l’altro con una voce che non prevedeva obbiezioni. L’ordine lo bloccò mentre si allungava sul tavolo, facendogli assumere una posizione ridicola. “Siediti! Ora tocca a me mostrarti le mie carte!”, l’Inglese le girò senza guardarle e fissando il suo sguardo negli occhi del suo avversario…donna di fiori…donna di quadri…donna di picche… voltò l’ultima carta e intorno a loro scoppiarono una serie di urla miste di sorpresa e gioia, “Donna di cuori!” disse l’Inglese rivolgendo a Jeanne uno sguardo trionfante “non poteva essere altro che così! Foul di regine! Ho vinto!”. Il sudista non la prese bene, subito sembrò incredulo poi la reazione fu violenta “Bastardo! Mi hai imbrogliato! Tu e la tua amichetta avete fatto questa messa in scena per derubarmi! Ma vi faccio vedere io chi è Bob Sinclair!” detto ciò, si alzò di scatto ed estrasse una pistola. Tutti si ritrassero ed alcune tra le donne emisero urla di terrore. L’Inglese rimase calmo, si alzò, guardò l’avversario sconfitto negli occhi e disse: “Comprendo il vostro disappunto amico mio! Ciò nonostante vi consiglierei di sedervi” l’uomo si sedette, “di posare la pistola” l’uomo posò la pistola, “e di riflettere che questo luogo non mi sembra il posto adatto per inscenare una rissa. Comportatevi da uomo distinto quale siete e soprattutto… badate di non farmi infuriare!”. Il sudista lanciò uno sguardo colmo di paura al suo avversario, poi, biascicando qualcosa, se ne andò rapidamente tra lo scherno di quelli che avevano assistito alla scena. L’Inglese, invece, rispose ai complimenti di alcuni dei presenti e poi si voltò verso la sua nuova amica, solo per accorgersi che Jeanne se ne era già andata. Anche Eva l’aveva persa di vista, dal momento che tutta la sua attenzione era rimasta rivolta alla scena. L’Inglese lanciò una serie di sguardi perplessi in giro, poi, dopo un’alzata di spalle, rivolse la sua attenzione alla notevole vincita che giacieva sul tavolo.

Eva invece s’era già mossa, era infatti rimasta d’accordo con Jeanne che, se si fossero perse di vista, si sarebbero dovute incontrare all’ingresso ed infatti qui la trovò. Sua figlia s’era levata la maschera e le fece cenno di scendere le scale verso il portone, avrebbero avuto tempo più tardi per discutere dell’evento ma, come spesso accade, qualcosa d’imprevedibile fece prendere alla serata una svolta decisamente imprevista.

La Coterie (e non solo)

Sorpresa… stupore… e poi… “Fermatele! Fermate quelle due! Sono delle schiave fuggiasce! Anche la bianca, anche lei è una mia schiava che è fuggita!”. Philippe Lavalle! Eva maledisse per l’ennesima volta quel nome e quell’uomo, fissò Jeanne per un istante, non sapeva quale potesse essere la sua reazione. Ma Jeanne non era stupida, avrebbe certamente affrontato il bastardo che le aveva fatto del male, ma solo dove e quando avesse deciso lei. “Seguimi!” disse sua figlia ed Eva iniziò a correre dietro di lei. Rifecero la strada a ritroso, continuarono a correre anche attraverso i saloni di Madame Lorette mentre alcuni servitori s’erano lanciati al loro inseguimento; dal fondo delle scale, Eva, sentiva ancora provenire la urla volgari di Lavalle, ma ora la sua preoccupazione era solo quella di stare dietro a sua figlia. Attraversarono la zona privee, dove le giovani ospiti della padrona di casa intrattenevano gli avventori, poi Jeanne svoltò per un corridoio poco illuminato ed, alla fine di questo, sbucarono su un’ampia terrazza. Jeanne si fermò e si voltò ad affrontare i loro inseguitori mentre Eva si tenne in disparte.

I servi le raggiunsero, erano cinque, quasi tutti schiavi, ma chi li guidava doveva essere l’uomo di fiducia di Madame Lorette “Ferme! Non muovetevi!” disse “ormai non potete più fuggire!”. Jeanne rimase perfettamente calma ed immobile, tanto che gli sguardi di alcuni servitori si fecero perplessi. Capendo che la situazione stava prendendo una piega spiacevole, il maggiodomo di Madame fece per afferrare Jeanne… non arrivò mai a sfiorarla. Eva si chiedette se l’uomo aveva fatto in tempo a percepire il dolciastro odore di morte che già aleggiava nell’aria, quello che lei vide, o meglio sentì, fu il colpo secco dell’ascia che spezzava in due la spina dorsale del miserabile; questi non proferì parola ed, in un secondo, si trovò a terra in un lago di sangue. Jù-Jù, Cesàr, era comparso come un demone dalle ombre per soccorrere la sorella, con la quale aveva convenuto di trovarsi in quel luogo in caso di pericolo. Gli altri osservarono il gigante spettrale e seppero che la morte aveva fatto loro visita, tentarono di fuggire, ma l’ascia di Jù-Jù li falciò uno per uno, nessuno avrebbe dovuto raccontare ciò che aveva visto. Eva si accorse che Jeanne stava spostandosi di lato per lasciare spazio al fratello quando, all’improvviso, un coltello saettò alla sua gola, “Papa Legba!” sussurrò la donna di colore, sapeva che un coltello non avrebbe fatto sul serio male alla sua Jeanne, ma vedere la figlia con un arma da taglio puntata alla gola, ebbe comunque l’effetto di paralizzarla sul posto. Anche Jù-Jù si bloccò all’istante, intorno a lui giacievano ormai i cadaveri di tutti gli schiavi ma, anche se la vita di sua sorella non era davvero in pericolo, il solo pensiero di saperla correre un rischio lo rendeva incapace d’agire.

“Bene, bene!” disse la voce dell’aggressore, che Eva riconobbe appartenere al sudista di poco prima “Avevo ragione dunque, altro che signora per bene! Non sei altro che una sgualdrinella e, per giunta, una schiava fuggiasca! Non so quale trucchetto tu abbia usato per favorire quel bastardo d’un inglese! Ma di certo il tuo padrone mi ricompenserà abbondantemente per averti catturata, così potrai rifondermi della somma di cui il tuo amico m’ha derubato!”. Jù-Jù fece per muoversi, ma ancora una volta il movimento del coltello alla gola di Jeanne ebbe l’effetto di paralizzarlo, Eva sperò che la figlia si decidesse ad agire in modo che si potessero allontanare, infatti dall’interno della casa già si sentivano le voci di altri servitori che stavano per sopraggiungere. “Buono dove sei gigante merdoso! Altrimenti taglio la gola alla tua cagna! Ora, bellezza, seguimi senza fare obbiezioni, altrimenti il tuo bel visino potrebbe…..arghhh!!!”. Eva sbattè le palpebre e strinse bene gli occhi, poi vide la punta d’un coltello sbucare dalla gola del sudista. L’uomo s’accasciò a terra e Jeanne, per un istante sbilanciata, cadde all’indietro, mentre la sua schiena si trovò a poggiare contro…. il petto dell’Inglese! “Se qualcuno a qualcosa di cui lamentarsi nei miei riguardi, è meglio che me lo dica in faccia! Non sopporto che si maltrattino le mie amiche!” disse lo straniero a quello che, ormai, era diventato il cadavere del suo avversario di gioco. Poi, rivolgendosi a Jeanne che ancora si trovava appoggiata a lui, aggiunse “Piacere di rincontrarla, Milady! Come vede, a volte, ripago i miei debiti” , “Ero certa d’aver fatto un buon investimento, Monsieur!” gli rispose sua figlia “Sarebbe ora però così cortese da lasciarmi?”, Eva s’accorse che l’immortale le aveva cinto la vita col braccio “Temo di non poterla accontentare, Milady! La gente che vi sta inseguendo sarà qui tra poco ed è quindi meglio per noi tagliare la corda!” , “Noi?” gli fece eco Jeanne “Sì! Noi!”. Dicendo così l’Inglese prese la donna in braccio con un unico ed elegante gesto e balzò sulla balaustra di marmo del terrazzo “Ehi! Colosso!” disse poi voltandosi verso Jù-Jù “Ma te l’ha detto nessuno che puzzi in maniera oscena! Dovresti farti un bagno una volta ogni tanto! Sai, alle belle signore piacciono gli uomini puliti! Ad ogni modo sbrigati, afferra l’altra e stammi dietro se ci riesci!”. Le voci ormai erano alle loro spalle, Eva fece in tempo a vedere l’Inglese che si gettava di sotto con Jeanne tra le braccia, poi le forti braccia di suo figlio la ghermirono e Jù-Jù saltò di sotto oltrepassando con un balzo il corrimano di pietra. Quando atterrarono, parecchi metri più in basso, Eva sentì le ossa del gigante scricchiolare mentre le sue gambe affondarono parecchio nel terreno morbido del giardino. Se anche qualche osso si era rotto, Jù-Jù non lo dette a vedere, smosse con forza gli arti inferiori ed iniziò a correre dietro all’altro, il quale era invece atterrato senza il minimo problema ed aveva già iniziato a muoversi velocemente.

Corsero sino a giungere nei pressi del porto fluviale, che non distava molto dalla dimora di Madame Lorette, qui lo straniero si fermò, sembrava che la corsa non l’avesse per nulla stancato e difatti disse prontamente: “Bene e ora che si fa? Sarà una mia impressione, ma credo che i vostri amichetti non abbiano intenzione di demordere!” e come per sottolineare la cosa, l’Inglese si tese per ascoltare rumori che potessero indicare l’approssimarsi di un certo numero di persone. “Perché per prima cosa non mi mette a terra, Monsieur? Poi vorrei sapere perché le nostre strade non dovrebbero dividersi qui?” disse Jeanne “A dire il vero non mi crea problemi tenervi in braccio, Milady! Siete leggera come una piuma!” disse il Revenant con aria divertita, ma visto che l’espressione di Jeanne non pareva incoraggiante, con un aria afflitta la mise a terra. “Beh, per rispondere alla vostra seconda domanda, io sono giunto qui in città da poco e farmi qualche amico… o qualche amica, non mi dispiacerebbe per nulla! Inoltre, perdonate la mia schiettezza, ma visto la gente con cui andate in giro” disse indicando Jù-Jù ed Eva, “non credo possiate lamentarvi della mia compagnia ed, inoltre, non potete non ammettere che abbiamo diverse cose in comune e… chissà quante altre potremmo scoprirne!”, l’Inglese sembrava davvero divertito dalla situazione mentre Eva non riusciva a decifrare l’espressione di Jeanne. Proprio in quel momento da dietro l’angolo d’un edificio sbucarono un certo numero di uomini armati di torce che, non appena li scorsero, iniziarono a correre nella loro direzione urlando. Eva sapeva quanto gli immortali temessero il fuoco, guardò quindi entrambi i suoi figli e si chiese come avrebbero fatto a sfuggire ai loro inseguitori, “Salvateci!” disse Jeanne guardando negli occhi l’Inglese “Salvateci ed accetterò tutte le proposte che avrete da farmi!”. Lo straniero sembrò soppesare con interesse l’offerta “Proprio tutte, Milady?”, ma prima che Jeanne potesse rispondere, l’afferrò per un braccio ed iniziò a correre verso l’imbarcadero “Corri colosso, seguimi!” urlò a Jù-Jù, il quale afferrò di peso la madre e si mise a seguirlo. I quattro giunsero ad una passerella malmessa che portava ad una imbarcazione ormeggiata, “Luke! Barry!” urlò l’Inglese “togliete gli ormeggi ed in fretta! Abbiamo degli amici un po’ troppo calorosi alle calcagna!”, alcune figure si sporsero dal parapetto dell’imbarcazione, poi la coperta iniziò ad animarsi velocemente. L’immortale imboccò il pontile tenendo sempre Jeanne per mano, Eva e suo figlio lo seguirono e, per un istante, la donna credette che le assi marcie sarebbero cedute sotto il peso di Jù-Jù, trascinadoli nella scura e vorticosa acqua sottostante. Eva non capì bene cosa accadde in seguito, ma scorse Jeanne bloccarsi di colpo e voltarsi verso gli inseguitori, mentre madre e fratello la superavano, c’è da dire che, sebbene perplesso, l’Inglese non l’abbandonò ma si fermò al suo fianco. Quando Eva potè sporgersi dal parapetto dell’imbarcazione, l’unica cosa che vide fu sua figlia, capelli al vento, che pronunciava un’invocazione ai Loa, la vide trafiggersi col puntale la mano e gettare un fiotto di sangue contro i loro inseguitori, poi… sotto lo sguardo incredulo di tutti i membri dell’equipaggio, il pontile si spaccò sotto il peso degli uomini in corsa, i quali precipitarono in acqua e furono trasportati via dai flutti del Mississipi, “Che jella che hanno avuto, buon per noi comunque!” disse uno dei marinai che si trovava vicino alla donna di colore.

Jeanne e l’Inglese salirono con calma sul ponte del piccolo vascello, in breve i preparativi per la partenza furono fatti ed il battello salpò dal molo, la luna brillava sull’acqua ed un’odore di salsedine ed acqua dolce riempiva l’aria. Eva vide Jù-Jù mettersi controvento per limitare i problemi dovuti al suo odore, rannicchiarsi per quanto possibile in un angolo e, almeno per il momento, i marinai dell’imbarcazione sembrarono troppo presi dal loro lavoro per fargli più caso del dovuto; poi l’attenzione della donna si spostò su sua figlia.

Jeanne era appoggiata al parapetto e la lieve e calda brezza della notte le scuoteva i capelli, sembrava presa in una miriade di pensieri e sua madre si chiese quali scelte stesse per fare, d’un tratto vide un’ombra avvicinarsi a lei, era l’Inglese che, dopo aver dato istruzioni agli uomini, le si era avvicinato per parlarle. Prima di farlo, però, la osservò per un lungo istante ed il suo sguardo era serio e deciso, difficile immaginarsi cosa gli stesse passando per la testa. Jeanne, invece, parve non accorgersi di lui sinchè non le rivolse la parola: “Emh… mi scusi Milady, mi spiace disturbare i vostri pensieri, ma credo sia ora di fare quattro chiacchere!” , “Cosa c’è da discutere, Monsieur! Vi ho promesso che se ci aveste salvato, avrei accondisceso ad ogni vostra richiesta… ed io mantengo la mia parola!”. Il silenzio che seguì fu imbarazzante, poi lui riprese “Non so se mi si possa definire un gentiluomo oppure no, ed ammetto che i miei rapporti con le giovani dame sono per lo più… come dire… burrascosi! Ma è anche vero che sta notte vi ho visto compiere dei prodigi che non ho mai visto fare ad alcun Tremere prima d’ora!” Eva riconobbe quel termine, era il Clan d’immortali a cui sua figlia apparteneva, “non credo di potervi offrire un’amicizia eterna, ma se accetterete la mia ospitalità per le prossime notti, forse potremo trovare un punto d’incontro per il prossimo ed immediato futuro… se c’è una cosa che io rispetto è la fortuna…e voi sembrate possedere la chiave che la controlla! Per me questo ha già il valore d’un patto di sangue! Che ne dite, Milady?”. Jeanne osservò le luci di New Orleans che si allontanavano ormai sullo sfondo, in quel momento, ad Eva, sua figlia apparve stanca, non era facile per una donna, anche se membro dei Revenant, sopravvivere in quel mondo sempre pronto a distruggerla, che avesse deciso di accettare l’amicizia di quello strano Inglese? Che si fosse anche lei arresa al destino che ogni donna, per esistere a questo mondo, ha bisogno d’un uomo al suo fianco?

“Andiamo nella vostra cabina, Monsieur! Spero per voi che le vostre proposte siano oneste e decenti, altrimenti temo che la nostra amicizia avrà un rapido e tragico declino!” Jeanne si voltò, oltrepassò l’immortale ed entrò all’interno dell’imbarcazione. L’Inglese la osservò allontanarsi massaggiandosi il mento con una mano “Proposte oneste e decenti?! Come ci si fa a divertire con proposte oneste e decenti!” poi, un lento e sfrontato sorriso si formò sul suo volto “Beh, caro vecchio Douglas! Mi sa che dovremo ingegnarci un po’, ma credo che alla fine troveremo di sicuro qualcosa d’interessante con cui intrattenere la nostra nuova ospite! Già, già!”. Eva lo vide seguire Jeanne, lei invece si chiese se doveva intervenire in qualche modo, era pur sempre sua figlia! Ma poi si accorse che Jù-Jù se ne stava tranquillo nel suo cantuccio, se avesse pensato Jeanne in pericolo di certo si sarebbe mosso. Eva si lasciò cadere sopra una vela ammainato ed il sonno la prese quasi subito, non prima d’aver udito l’Inglese dire: “Prego, Milady assaggiate! E’ un’ottima annata, che ne direste di berlo entrambi dalla stessa coppa!”.

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